Torino in verde
In un periodo di crisi profonda, la Citta' della Mole prova a sfoggiare un guardaroba rinnovato. Che punta sui toni del verde.
Sta anche provando, tra i vari travestimenti nella ricerca di un’identità meno unitaria e più “flessibile” – come si addice ai dettami della post-modernità – a mettersi in verde: e lo fa partendo da una delle zone simboliche, l’ex area siderurgica un tempo scenario degli stabilimenti industriali Savigliano, Michelin e della Fiat Ferriere Piemontesi. Due milioni di metri quadri (la cosiddetta Spina 3) che sono oggetto di una riqualificazione urbana voluta da Comune e Regione, con lo zampino dell’Unione Europea. E’ nato così il Piano Strategico di Torino Internazionale, che guarda a servizi, ricerca e produzione avanzata come alla nuova linfa da succhiare per sopravvivere.
Guardare oltre
Il ponte tra ciò che sembra sorpassato e l’inevitabile ricerca di nuove strade ha una natura sfaccettata. Una di queste facce è l’Environment Park, 15.000 metri quadri di parco scientifico e tecnologico che ospita imprese, centri di ricerca e laboratori nel settore ambientale (per i 2/3) e delle nuove tecnologie. Realizzato – a partire dal 1997 - con investimenti per circa 40.000 euro, l’EP è figlio del processo di riqualificazione urbana della Spina 3, che richiede la bonifica di aree abbandonate e spesso inquinate, la riscoperta delle sponde del fiume Dora e l’uso del verde come trait d’union tra giardino, fiume e parco tecnologico. Con un piglio un po’ snob la chiamano land architecture, questa tendenza ecologista e ambientale che aspira a lasciare il segno minimizzando le tracce artificiali. Ecco così comparire grandi vetrate, tetti ricoperti di prato, soluzioni e accorgimenti in nome della sostenibilità, concetto ormai di gran moda – oltre che di gran necessità – tra le imprese italiane e non. Sostenibilità nella forma e nel contenuto, visto che all’EP la maggior parte delle aziende è votata alla ricerca di tecnologie pulite, al management ambientale, alla bioarchitettura e al turismo sostenibile.
L’EP ha mantenuto le promesse? Per scoprirlo, abbiamo rivolto qualche domanda a uno dei suoi inquilini, Alessandro Falcone, giovane imprenditore e torinese d’adozione da più di dieci anni.
IP: Qual è il legame tra EP e Torino?
A.F.: Quando spiego dove lavoro, molti torinesi mi rispondono:”Ah, ma allora lei lavora in quelle palazzine tutte strane ricoperte di piante...”. Credo che EP avrà bisogno di qualche anno prima di avere una sua connotazione precisa per la città.
IP: Come procede il recupero del Fiume Dora?
A.F.: Purtroppo non procede. Attualmente quell’area è un cantiere edile di privati: dal Cinema Multisala Medusa (appena inaugurato) ai lavori di costruzione di un grande centro commerciale.
IP: E la mostra permanente sullo sviluppo di questa area urbana?
A.F.: La mostra, peraltro molto bella, non è più ospitata all’interno dell’EP. Chissà perchè, ma l’hanno spostata in un’area espositiva su Corso Casale (il viale che fiancheggia il Po).
IP: Secondo te l’EP può essere visto come un polo di attrazione turistico?
A.F.: Non credo. Gli unici interessati a visitarlo sono, per il momento, architetti e ingegneri, o studiosi e politici (anche stranieri) che vogliono capire come dal nulla si sia riusciti ad inventare un polo di aziende che operano nel medesimo ambito (una specie di distretto industriale dei servizi).
IP: In cosa in particolare riconosci il cambiamento di Torino degli ultimi anni?
A.F.: Il contrasto tra due diverse organizzazioni del lavoro (fordista e post-fordista) e tra due generazioni, si specchia nella vita della città. Solo dieci anni fa, quando sono arrivato qui, Torino era molto più vuota la sera (anche per i turni di lavoro nelle fabbriche), mentre ora i locali sono molto frequentati. L’estate, poi, è un termometro preciso di un nuovo genere di vitalità, legata al settore terziario: l’amministrazione pubblica l’ha capito e offre una discreta varietà di spettacoli nella zona dei Murazzi, dei Giardini Reali e della Cavallerizza.